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A.S. 17 febbraio 2018
«Caso-Calabona simbolo del malgoverno»
La Consulta Ambiente e Territorio della Sardegna, costituita da Italia Nostra, Gruppo d’Intervento Giuridico, WWF e FederParchi ritorna prepotentemente sulla realizzazione delle palazzine a picco sul mare di Calabona ad Alghero. La nota integrale


ALGHERO Continuano le polemiche, sempre più infuocate, sulla costruzione delle palazzine a picco sul mare sulla scogliera di Calabona, a sud della città di Alghero. E’ ancora la Consulta Ambiente e Territorio della Sardegna, creata da Italia Nostra, Gruppo d’Intervento Giuridico, Wwf e FederParchi, ad intervenire sul caso. Di seguito la nota integrale inviata alle redazioni giornalistiche e agli amministratori regionali e locali.

Palazzi a molti piani crescono inaspettatamente nelle zone più pregiate di Alghero, con tanti dubbi sui profili urbanistici e gli impatti paesaggistici. Le trasformazioni incalzano da molti anni soprattutto nelle zone dell’area urbana più prossime al mare, dove il valore immobiliare è più elevato. Si tratta di zone classificate “B” da un PRG vetusto, redatto su carte ingiallite dal tempo e spiegazzate dall’uso (pare con macchie d’olio risalenti agli anni Ottanta); sicuramente troppe e troppo incoerenti per quanto riguarda i rapporti stabiliti per legge tra abitanti insediabili e aree per servizi, certamente carenti. Se solo si volesse, non sarebbe difficile raccogliere qualche dato sulla plausibilità di molte zone “B” e sulla contabilità urbanistica dei contesti, magari affidando la ricognizione agli studenti della Facoltà di Architettura – se non lo hanno già fatto come esercitazione sul campo – autorevolmente guidati. In pochi giorni si disporrebbe di un responso: un generoso contributo alla crescita civile della città che da tempo si espande senza criteri come sa chi dà un’occhiata in giro; forse scatterebbe l’allarme per un processo degenerativo che dovrebbe preoccupare chi tiene al futuro turistico di Alghero oltre che alla sua vivibilità nei mesi senza turisti. Ma un altro quinquennio è quasi trascorso, e un altro sindaco potrebbe non arrivare in tempo ad adeguare lo strumento urbanistico alla pianificazione paesaggistica nonostante l’impegno preso in campagna elettorale, “il PUC come obiettivo strategico per restituire alla città la sua identità e per favorire un equilibrato progresso della dimensione abitativa ma anche economica e sociale” e nel corso del suo insediamento “ risolvere la questione dell’abitare con interventi di edilizia pubblica, sociale, di cooperative…individuare risorse per interventi di ristrutturazione, risanamento, recupero del patrimonio esistente in un’ottica di sostenibilità”. Ancora parole. E così, come se non esistessero le regole di convivenza, Alghero non ha, a suo tempo, neppure preso visione dei PTP del 1993 e da una dozzina di anni fa finta di non sapere che è vigente il Piano Paesaggistico della Regione (2006) a cui dovrebbe fare riferimento. Il lavoro di redazione del piano urbanistico di Alghero dura da quasi 25 anni, nel frattempo il Mondo è cambiato, si sono avvicendati due Papi, 4 Presidenti in USA, 13 Presidenti del Consiglio in Italia, è scomparsa la Lira, ma nella mitica Porta del turismo isolano il tempo sembra essersi fermato. E la RAS fa finta di non vedere che uno dei comuni a più alto tasso di flussi turistici (nonostante la crisi dei trasporti) se ne infischia delle leggi statali e regionali e anziché commissariare il Comune trasgressore delle buone leggi, gli dà leggi pessime – come i piani casa – grazie alle quali gli speculatori possono continuare a fare i loro comodi, raddoppiando il loro vantaggio contro l’interesse della città. Una condizione di correità scandalosa nella quale sopravvivono le zone “B” premiate dalla doppia copertura della assenza di pianificazione aggiornata e dal piano casa LR 8/2015. In questo quadro limaccioso si sta svolgendo la vicenda del palazzo previsto a Calabona, a pochi passi dal mare. Una della aree più interessanti e vulnerabili, che sarebbe ragionevole preservare da ulteriori modifiche. Il caso è controverso e alcune domande appaiono legittime, se – come parrebbe – si chiede la trasformazione ai sensi dell’art. 39 comma 5 della LR 8/2015. Al fine della applicazione di tale norma occorre convenire anzitutto sulla identificazione del lotto urbanistico interessato dall’intervento e sulla volumetria insistente, specie nel caso di demolizione e ricostruzione consentita dalla legge. Parametri che decidono l’ammissibilità della trasformazione, difficilmente trascurabili. Il lotto urbanistico è quello che ha originato il fabbricato, su cui è stata a suo tempo consentita l’edificazione della volumetria esistente, commisurata alla dimensione del terreno, ed è classificata inequivocabilmente come zona “B”. Esso può essere costituito anche da più particelle catastali ma è irragionevole pensare che possa essere frazionato al fine di intervenire per parti, contraddicendo il principio espresso nello stesso art. 39 comma 1, della 8/2015 che ammette il “rinnovamento del patrimonio edilizio esistente mediante interventi di integrale demolizione e successiva ricostruzione degli edifici esistenti”. È evidente che pure la pessima legge come questa si sia preoccupata di contenere gli effetti orrendi dei procedimenti in deroga, senza tuttavia prevedere l’abisso dell’urbanistica algherese. Dalle carte acquisite dalla Consulta Ambiente e Territorio non si deduce se il senso della disposizione sia stato correttamente interpretato dalla previsione progettuale e se nel procedimento per il rilascio dei titoli abilitativi si sia considerato che il frazionamento dell’intervento possa produrre un mostro edilizio a due teste. Potrebbe esserci il rischio, ad esempio, che il lotto urbanistico possa essere rateizzato nell’uso, per cui su mezzo lotto/mezzo edificio ci si accontenta di utilizzare le antiche norme urbanistiche permissive del Comune, mentre sulla restante metà si procede con l’applicazione del piano casa. Se così fosse, ci troveremmo di fronte ad un caso talmente assurdo che sarebbe da portare come esempio di malaurbanistica. È il minimo che ci si possa aspettare da una legge di deroga, pensata per consentire l’inosservanza delle regole, che a sua volta ha bisogno di essere aggirata, forzata in fase applicativa, per esprimere il massimo dello svuotamento di senso della disciplina urbanistica. E’ su questa evidente anormalità – la possibilità di trasformare un piccolo edificio secondo due modalità – che la Regione dovrebbe fare rapidamente una seria valutazione.
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